Brevi note di stile su “Produzione di merci a mezzo merci”

Il libro di Sraffa arriva prepotente da un’altra epoca e due cose saltano all’occhio per la distanza con la ricerca moderna.

Sraffa non cita, se non brevemente in un’appendice. Quelle lunghe pagine di introduzione la cui assenza oggi è sufficiente per bloccare la pubblicazione di un lavoro, in Sraffa sono relegate alle fine, come un pezzo superfluo.
Questo non disturba perché Sraffa tratta un Problema, una Questione la cui importanza è autoevidente e non necessita di una giustificazione data dal contesto sociale in cui si fa ricerca.
Viene da chiedersi se oggi sia ancora possibile affrontare le Questioni solo per la loro rilevanza intrinseca o se sia inevitabile ripercorrere temi di ricerca che trovano giustificazione in una prassi autoriferita e guidata dalla discipline come insieme di persone invece che di conoscenze.

La prosa e il lessico di Sraffa, l’uso del formalismo, rimangono accessibili anche a un lettore non esperto. Il rigore è sacrificato sull’altare dell’intelligibilità, della possibilità di trasmettere la nuova conoscenza al di fuori di una cerchia ristretta di esperti.
Vocazione opposta al ricorso fatto da alcune Scuole al formalismo in quanto tale per erigersi alla sommità della disciplina e tagliare le gambe a quelle Questioni che mal si prestano a essere descritte nei termini dell’algebra lineare o dell’analisi.

Sul perché il concetto di merce base sia utile per costruire un ponte con l’Economia fondamentale o sul parallelismo tra la programmazione funzionale e il modo di Sraffa di registrare l’invecchiamento del capitale fisso tornerò forse altrove.